lunedì 27 gennaio 2014

Ciao ci si vede domani

Quando ero ragazzino amavo la mia città. Ero pieno di amici con i quali si giocavano interminabili partite a pallone. Interminabili lo diventavano in quanto conclusa una partita se ne incominciava subito un'altra e la fine arrivava con l'imbrunire. Essendo il campetto sprovvisto di luci la sagoma della palla svaniva nell’oscurità così come svaniva la nostra voglia di giocare e quindi mogi mogi e tanto stanchi ci si salutava con il solito saluto: ciao ci si vede domani. Ma c'erano altri motivi che portavano termine a una partita, uno era l'ultimo richiamo della mamma Eugenia dal balcone con la minaccia "giuro che se non sali subito domani rimani chiuso in casa tutto il giorno". Il secondo motivo e il più crudo era quando il proprietario se ne andava portandosi con se la palla e di conseguenza partita finita. In questo caso si potevano avere due alternative: che uno dei presenti corresse a casa a prenderne uno correndo il rischio di entrare e non uscirne più, vedasi minaccie varie delle mamme e l'altra era quella che arrivasse qualcuno con la palla diventando l'idolo di tutti, infatti "l'eletto" poteva scegliere la squadra, dare il calcio d'inizio e quando smettere. L'importante per noi ragazzini era di giocare con l'obbiettivo di vincere. Quante saracinesche dei vari garage, dei vari cortili, dei vari palazzi che abbiamo ammaccato. Un ricordo lo rivolgo al pannello in metallo col simbolo rosso del divieto di sosta inchiodato con quattro lunghi chiodi arugginiti, di cui ben la metà era sporgente talmente tanto che ogni tanto un pallone ci lasciava l'aria, ebbene questo pannello era diventato il nostro canestro essendo giusto nel centro del muro ed ad un'altezza giusta per la nostra età. L'avessero messo un metro o di qua o di là, o mezzo metro più in giù o più in sù che non l'avremmo utilizzato come canestro. Ironia della sorte quando l'avevamo ormai distrutto piegato su se stesso contorto come della carta stagnola utilizzata hanno pensato di cambiarlo ed ironia della sorte il nuovo l'avevano rimesso giusto in centro ma posizionato più in alto, cosa perfetta per noi ragazzi che durante eravamo "lievitati" ma per fortuna del cartello i nostri "canestri" erano cambiati. Un'ultima cosa il pallone era sempre lo stesso e lo utilizzavamo con i piedi e con le mani.
Amavo talmente il mio paese che non riuscivo minimamente a immaginare che attorno ci fosse un mondo intero. Mi sentivo protetto, mi sentivo amato, mi sentivo al sicuro. A mia volta amavo tutto in quel periodo la mia famiglia, la mia stanza, l'appartamento al secondo piano, lo stesso palazzo, i parenti brianzoli, i vicini, i numerosi amici, la scuola e i compagni ed anche i vari professori, l'andare in Chiesa e l'andare all'oratorio soprattutto a quello estivo, i nonni, gli zii e i cugini e gli innumerevoli viaggi nella bergamasca e le sue estati.... a dir il vero ci passai anche un ultimo dell'anno con gli amici del paesello separato in due dalla roggia Borgogna con una pizzata nella centralissima Bergamo e al cinema subito dopo con la proiezione di uno dei sempre divertenti Fantozzi, un giro per la città alta e rientro congelato (quando si circola in motorino in pieno inverno è abbastanza normale). Allora non fumavo, bevevo esclusivamente coca-cola e niente alcool, le droghe non sapevo che esistessero quasi come le ragazze. Di avere una ragazza ai quei tempi era impossibile sia per la scelta delle ragazze che cercavano altro e sia perché nella mia mente c'era spazio solo per gli amici e lo sport, calcio e pallavolo le mie favorite ma praticavo anche la corsa campestre e il nuoto. Era tutto una gioia. Era gioia anche quando mia madre mi mandava a fare la spesa nei piccoli supermarket del paese dove si trovava tutto e tutti si conoscevano, ai quei tempi non si pagava immediatamente ma si lasciava “segnato” su un quaderno in custodia alla cassiera e avrebbe provveduto poi mia madre a fine mese a saldare il conto. Erano gli anni dei primi video games nei bar che soppiantavano l'eterno flipper. Ogni tanto con il gruppo ci si andava a giocare ma con molta moderazione, a parte l'interminabile Pack-man dove ho speso giorni e giorni e gettoni sia come giocatore che come osservatore. Infatti a noi scarsi per poter godere un pò di più del gioco rimaneva che seguire e tifare i più bravi tra cui Massimo, che é stato il campione del bar Moderno per tutta l’estate e quasi tutto l’inverno e durante la sua performance si assisteva veramente a una ressa attorno allo schermo. Quando dopo decine e decine di minuti il Pacman giallo veniva mangiato da uno dei fantasmini colorati si sentiva un coro di "nooooooooooo" che riusciva a coprire la voce del televisore sempre acceso ma che nessuno guardava mai, a parte la domenica con 90° minuto e la lettura della schedina e la giostra dei gol della Domenica Sportiva alla sera dove regnava un silenzio assoluto. Quando giocavo io al videogames il solo osservatore era un amico o una persona occasionale, due amici era raro. Li capivo benissimo in quanto non duravo molto. Sono sicuro di essere riuscito a terminare il primo livello come sono sicuro che non ho mai passato il secondo! più che un record era una sfida alla torsione del mio corpo: dal polso all’anca, collo e spalle comprese. Insomma smanettavo, piegavo, spingevo, sudavo ma il mio Pacman andava in altre direzioni. Massimo, il campione, quando giocava oltre ad accendersi e fumare la sigaretta se era domenica si guardava anche i gol, almeno nei primi 5 livelli ! La mia scarsità mi riporta alla mente un souvenir ancora molto vivo in me: mi trovavo al bar con Marco e riusciamo a racimolare un'ultimo gettone. Ma chi dei due gioca ? Facciamo bim bum bam ed esco io come vincitore. Mi preparo e Marco detto il Ginetto mi dice "vai Carletto che è la volta buona, lo sento !". Partito spingo la manopola ma questa causa sudore mi sfugge e mi lesiona leggermente il pollice, il tempo di riprendermi che il Pacman è morto. La partita finisce quasi subito e mentre stavamo uscendo dal bar il Ginetto amareggiato mi dice: lo sapevo, lo sapevo che finiva così, lo sapevo che avrei dovuto giocare io. Mentre percorravamo il corto cammino che ci separava dai differenti condomini gli rispondevo: ma mi sembrava di averti sentito dire che eri sicuro che avrei vinto ... sigh sigh. Non ci siamo più detti niente fino al solito saluto: ciao ci si vede domani. Erano gli anni dove l’Italia in Spagna diventò Campione del Mondo !!! Quella sera eravamo tutti in piazza, dico tutti perché non avevo mai visto una folla così oceanica al mio paese. La sola volta dove si vedeva la maggior parte dei cittadini riuniti era la notte di Natale dopo la Santa Messa con la banda che ormai congelata intonava tre canzoni natalizie giusto il tempo che i presenti si facessero gli auguri ma allo scadere della mezz’ora la piazza tornava completamente vuota e spenta. Quella sera dell’11 Luglio del 1982 non solo la piazza era strapiena e dipinta d'azzurro ma anche le vie attigue erano piene di gente: chi a cantare, chi a suonare, chi a ballare e tutti dico tutti a urlare alla Nando Martellini la formazione a partire dal suo capitano: Zoff, Collovati, Cabrini, Gentile, Scirea, Oriali, Antognoni, Tardelli, Conti, Graziani, Rossi. Ciao ci si vede in Brasile.
Erano anche gli anni dove leggevo tutti i fumetti disponibili in edicola o gratis alla biblioteca comunale: Tex, Zagor, Alan Ford, Lupo Alberto, Sturmtruppen, Diabolik e che molto presto avrei sostituito con i futuri Dylan Dog, Nathan Never e Martin Mystere. Infatti c'era una sfida tra noi ragazzi di via Libertà a chi fosse il primo a leggere una nuova avventura di un super eroe per poi raccontarlo a tutti ottenendo l'interesse con le mille domande del gruppo sentendosi un pò delle star. Sempre in quel periodo lessi il primo libro impegnativo e che non rientrasse in uno dei testi scolastici: un Uomo di Oriana Fallaci, poi sono seguiti tutti e tanti altri. Tutte cose che mi porto dentro ancora oggi. Di seguito sono arrivati gli anni del militare, del lavoro
delle ragazze e le prime gite sui laghi con i motorini prima, con le moto dopo e con le macchine ancora dopo. Insomma un nuovo mondo si apriva ai mie occhi e alla mia conoscenza ed ero attirato da un richiamo chissà da dove e chissà per dove e il problema non era il dove ma il fatto che non sapessi neanche da dove partire !! Ma questo è il dopo. Allora volevo solo crescere ed ero nel pieno dell’adolescenza, un fanciullo ingenuo e spontaneo che passava il tempo tra la famiglia, la scuola e il restante con i ragazzi della via a giocare e a discutere. Allora ero un piccolo uomo. Ma come dicono i pigmei conosciuti nel mio girovagare per l’Africa: «Lo scoiattolo è piccolo, però non è schiavo dell’elefante !». Ciao ci si vede domani.

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